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13 aprile 2011

Recensione | Daft Punk "Revolution 909"

daft punk, revolution 909, coverUltimamente sembra che vadano di gran moda dischi dalle influenze jazz. Dischi che di suo sarebbero anche belli se non venissero poi ridotti ad un inutile pretesto per piazzare elementi house a vanvera, un po' come vietare ad un bambino di mangiare troppi dolci e lasciargli bere 1 litro di qualche bevanda gassata piena di zuccheri.

Quando sento certe cose il mio morale scende sotto le suole delle scarpe, perché "pa pa l'americano" o "tintarella di l..." diventano ridicoli da quanto poco senso abbiano, una sorta di contentino con alcune strofe e poi un finale in cui gli elementi jazz-house si intrecciano in maniera ripetitiva. Beh, indubbiamente queste cose hanno successo, per cui di sicuro sono io che sto sbagliando e non capisco nulla di musica.

Ecco perché qualche sera fa quando in macchina ho sentito "Revolution 909" (ascolta) ho avuto una sorta di brivido, quasi un momento di commozione. Intanto se si vuole creare un disco fondamentalmente strumentale è inutile cercare di andare a martoriare qualche disco del passato. E poi, caspita (!!!), un mixer è pieno di pulsanti e levette, ce ne sono davvero parecchie, serviranno a qualcosa, non solo per un facile cut & paste. Magari girando qualche levetta si scopre che si riesce a smorzare gli alti, i toni medi, oppure quelli bassi e creare quell'effetto "fuori/dentro" da un locale.

Questo singolo dei Daft Punk non è nient'altro che un ottimo esempio di stile, quello stile che dovrebbe essere ripreso in considerazione perché sapeva creare qualcosa dal nulla, senza strafare però, senza tirare in ballo elementi troppo forzati, giusto qualche accenno di vocal che viene spento quanto sembra diventare troppo ossessivo.
Quando sento questa canzone è impossibile stare con le gambe ferme, non picchiettare il dito sulla scrivania, non seguire quel ritmo creato semplicemente con un giro di basso e con un magistrale beat, nulla di più. E poi un po' di effetti, di filtri che ricordano molto il french touch, che gettano le basi di questo genere musicale.

In una parola, bellissimo. Il tanto con poco. Come solo i Daft Punk sanno fare. Un po' come tutto il loro album "Homework", bellissimo, se l'avete togliete la mummia del Similaun dalla teca iperprotettiva a prova di tutto e metteteci questo disco.

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4 commenti:

Zion ha detto...

bella recensione, condivido TUTTO! e i daft punk sono grandiosi...originali ma con gusto al retrò quel tanto che basta. Innovativi, sempre.

Matteo ha detto...

Ripeto cose che penso tu sappia già. i Daft Punk, i migliori per quello che mi riguarda. Devo solo finire la collezzione da Amazon appena ne ho il tempo. Eh,, oppure tu conosci qualche negozio di dischi con loro vecchi dischi in zona?

Saint Andres ha detto...

Magari ne conoscessi, purtroppo i loro vecchi dischi finiscono sempre per essere relagati ai posti più assurdi. Ricordo ancora di aver trovato "Daft Club", in un centro commerciale sul classico cestone dove trovi i dischi di Toto Cutugno degli anni '90. È stato un piccolo miracolo ma credo siano quelli i posti dove cercare.

babalous ha detto...

Grande finalmente qualcuno la pensa come me..non ne posso più di queste hit "folkloristiche" sono snervanti ...grandiosi i duft punk!!ricordo ancora i brividi di torino con il loro alive!! comunque non dimentichiamo altri 2 fratellini di tutto rispetto , sperimentali e visionari come i chemical brothers sanno essere!!! (swan)
un saluto!!