Recensione
Continuiamo a parlare di questa sorta di nu house ad opera questa volta di questo duo svedese. L'uno (Prydz) lo conosciamo per la suo nota "Call on me", l'altro è un po' più sconosciuto ma lo stesso di alto livello (tra le opere più commerciali ricordiamo il remix di "It's all in vain" di Magnolia, remix che introduce molti degli elementi stilistici delle produzioni di Angello, tra cui il basso).
"Woz not woz" è una di quelle canzoni (nella mia mente) che si potrebbero benissimo adattare ai classici telefilm americani degli anni '60, già mi immagino le scene a rallentatore di derapate e inseguimenti. Il basso irregolare, la melodia quasi malinconica, l'arrangiamento nel complesso vintage. Si capisce che c'è qualcos'altro sotto oltre all'abile talento dei due giovani.
Le notizie sono sempre poche, ma qualcosa ho trovato. Intanto il titolo del brano più che riprendere quello della canzone originale riprende quello di chi l'ha composta, ovvero Was (not was), mentre la base e la melodia sono riprese dalla loro canzone "Weel me out" (a dir la verità la canzone non mi pare molto efficace, di certo lo è di più la versione rielaborata dal team svedese, ma qui i gusti sono personali).
Ricapitolando: abbiamo davanti un prodigioso esempio di una delle canzoni più valide del panorama house europeo, più che essere ballata nei dancefloor la canzone si appresta di ad un approccio più lounge, rilassato, senza scatenarsi eccessivamente.
Fino ad ora ho parlato però riferendomi alla versione curata in maggior parte da Steve Angello, passiamo ora quella del giovane Prydz.
Il remix segue quello della linea già tracciata con altre sue produzioni underground (vedi il remix di "Sunrise" dei Duran Duran o di "Lola's theme" degliShapeshifters piuttosto che "Feel the vibe" di Axwell) insomma niente a che fare con produzioni commerciali come "Call on me", che potremmo definire un esperimento ben riuscito, una sorta di amo gettato nelle piste da ballo per farsi conoscere e che indirizza alle sue produzioni più estreme. Quindi come nei già citati remix troviamo elementi a dir poco esplosivi, una cassa decisa, percussioni tendenzialmente tribali (anche se del genere non abbiamo praticamente niente, quindi solo qualche bongo) e un'atmosfera cupa, quasi surreale, che pian piano cresce fino ad arrivare al punto più interessante. Da metà canzone in poi (si parla delle versione estesa) abbiamo un giro di basso elettronico, quasi una tastiera distorta, nelle tonalità più basse, l'equivalente di un chitarra in una canzone rock qui lo abbiamo con il basso, decisamente sintetico.
Concludendo: dopo produzioni minimali come "Knockout" e semi-comerciali come "Slammin" ecco un altro tassello di questo artista molto eclettico.
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